“Una tragedia a lungo dimenticata. Che abbiamo il dovere di ricordare, con obiettività, per preservare la verità storica del nostro passato. Un dramma che costò la vita a tanti innocenti e causò l’esilio di tanti italiani, persone e famiglie intere, che furono costretti a fuggire dalle loro terre e dalle proprie case”.
La commemorazione
Ogni anno, a partire dal 2004 per decisione del Parlamento, l’Italia celebra il 10 febbraio il Giorno del ricordo, dedicato alla commemorazione di quasi 300 mila profughi giuliani, dalmati e fiumani costretti a lasciare le loro case dopo il 1945, tra i 5 e 12 mila morti, gettati vivi nelle foibe, le cavità del terreno sul Carso, o fucilati. Sono i terribili numeri dell’eccidio compiuto dai miliziani del regime jugoslavo di Tito sulla popolazione italiana della Venezia Giulia, Istria, Quarnaro e Dalmazia, costretta in grande maggioranza all’esodo. Si tratta di una complessa e dolorosa vicenda della storia italiana del Novecento a lungo trascurata che permette di non dimenticare tutte le cosiddette “pulizie etniche” e di ribadire il valore della pace.
La storia
L’orrore del Novecento, provocato da una pianificata volontà di epurazione su base etnica e nazionalistica e coperto da una ingiustificabile cortina di silenzio ebbe iniziò nel 1943, dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre. In Istria e in Dalmazia i partigiani jugoslavi di Tito si vendicarono contro i fascisti e la loro italianizzazione forzata, vennero considerati nemici del popolo, e insieme agli italiani non comunisti, torturati e gettati nelle foibe, e così fu in seguito, durante tutto il tentativo di riconquista del territorio italiano fino a Trieste. Il risultato è che tra il maggio e il giugno del 1945 migliaia di italiani dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia furono obbligati a lasciare la loro terra, altri furono uccisi o deportati nei campi sloveni e croati. Si moriva con estrema crudeltà: nelle foibe i condannati venivano legati tra loro con un fil di ferro stretto ai polsi e fucilati in modo che si trascinassero nelle cavità gli uni con gli altri.
Le parole di Sergio Mattarella
Il silenzio, le sacche di “deprecabile negazionismo militante” o il riduzionismo, sono gli ostacoli contro cui ancora si combatte per questa “sciagura nazionale”: lo scrive il capo dello Stato italiano Sergio Mattarella in occasione dell’odierna Giornata, aggiungendo però che il vero avversario da battere, “più forte e più insidioso, è quello dell’indifferenza, del disinteresse, della noncuranza, che si nutrono spesso della mancata conoscenza della storia e dei suoi eventi”. Il capo dello Stato sottolinea anche che angosce e sofferenze sono un monito perenne “contro le ideologie e i regimi totalitari che negano i diritti fondamentali della persona “e rafforzano ciascuno nei propositi di difesa e promozione di pace e giustizia”.
Il monito di Monsignor Giampaolo Crepaldi
Monsignor Giampaolo Crepaldi, arcivescovo di Trieste, ci ricorda di non dimenticare che “se si costruisce un mondo su odio e violenza non si va da nessuna parte”. I valori della verità, giustizia e libertà sono quelli portanti e certe ideologie – afferma- hanno un effetto distruttivo sulle coscienze e sulla convivenza umana. Ma è anche vero che esistono oggi volontà e iniziative volte a ricostruire gli strappi e a risanare il tessuto sociale di quelle terre. Ruota intorno alle parole “riconciliazione” e “purificazione della memoria”, l’attività della Chiesa di quegli anni e di oggi, al confine nord orientale ell’Italia.”Dobbiamo concordemente continuare ad evangelizzare la riconciliazione e aprire, a partire da questo grande valore cristiano, na stagione di speranza e di futuro.
Beato Lojze Grozde e Don Miroslav Bulesic
La Chiesa giocò un ruolo di pacificazione e riconciliazione e pagò anche un tributo molto alto e non solo la diocesi di Trieste, ma anche diocesi croate e diocesi slovene. Voglio qui ricordare soprattutto tre figure di martiri che sono poi stati beatificati. Il primo beato che vorrei ricordare è Lojze Grozde, sloveno, poi Don Miroslav Bulesic, croato e il prete triestino don Francesco Bonifacio. Con la loro testimonianza di fede, una fede viva e vissuta, bonificarono, secondo me, gli orrori commessi in queste terre sotto la spinta di un’ideologia che, devo dire, prometteva il Paradiso e partorì l’Inferno. Questo mi sembra la sintesi di ciò che è stato, deve essere e deve continuare ad essere, il ruolo della Chiesa, un ruolo di riconciliazione, di purificazione della memoria e di evangelizzazione di quei valori portanti, che permettono la convivenza sana di popoli diversi”.