Archivi

Sorrisi e dignità: sei mesi di attività per l’ambulatorio odontoiatrico Caritas

Negli ultimi anni, in Italia, il fenomeno della povertà sanitaria ha assunto proporzioni preoccupanti. L’accesso alle cure, pur in un sistema universalistico, non è garantito per tutti. Le cure odontoiatriche, spesso escluse dagli interventi di base, rappresentano uno degli ambiti in cui la rinuncia è più frequente. «Il problema della povertà sanitaria è ormai un problema che si avverte drammaticamente nel nostro Paese», afferma Gaetano Zucchini, direttore della Caritas diocesana di Città di Castello. «Sempre più persone non riescono a curarsi in maniera corretta e questo dato è salito vertiginosamente negli ultimi anni».

Zucchini sottolinea come la disparità di accesso alle cure stia crescendo: «Una persona con reddito medio-alto spende in media 1.200 euro l’anno per la propria salute, mentre i più poveri meno di 200 euro. La rinuncia alle cure è enorme, e le cure odontoiatriche rappresentano proprio la rinuncia principale». Proprio la costante osservazione di questo fenomeno sul territorio tifernate ha acceso una consapevolezza: «Era un dato che avevamo riscontrato anche a Città di Castello, al di là dei numeri nazionali» spiega. «Per questo ci siamo messi al lavoro, valutando gli aspetti territoriali, la fattibilità, la sostenibilità economica e soprattutto la possibilità di offrire un servizio dignitoso e stabile».

La nascita dell’ambulatorio “Santa Margherita”

Dopo due anni di progettazione, ricerca di fondi e autorizzazioni, l’ambulatorio odontoiatrico solidale “Santa Margherita” – nell’aprile scorso – ha aperto le sue porte. Una struttura costruita con professionalità, rispetto delle norme sanitarie, investimenti sulle attrezzature e soprattutto con il contributo gratuito di odontoiatri e igienisti.

«Abbiamo seguito lo stile Caritas: analisi del territorio, ascolto dei bisogni, valutazione delle possibilità realizzative», racconta Zucchini. «L’apertura è stata resa possibile grazie alla generosità di odontoiatri che lavorano gratuitamente: oggi sono cinque professionisti, con un direttore sanitario, che dedicano il loro tempo per offrire cure di qualità». Il risultato è un servizio che offre prestazioni odontoiatriche di base gratuite, prevenzione, educazione alla salute orale e un vero accompagnamento umano.

I numeri dei primi sei mesi: adulti e bambini curati

Nei primi sei mesi l’ambulatorio ha accolto 44 pazienti: 26 adulti e 18 bambiniGli adulti hanno ricevuto 152 prestazioni, tra visite, otturazioni, terapie canalari, estrazioni e radiografie, per un valore pari a circa 20 mila euro. I bambini hanno ricevuto 56 prestazioni, per un valore di quasi 4 mila euro.

Per Zucchini questi numeri parlano da soli: «I dati che abbiamo raccolto non servono a dire se siamo stati più o meno bravi, servono a raccontare l’entità del problema. E l’entità è enorme», sottolinea. «Questa esperienza sta dando a tante persone fragili una speranza concreta di terapia». L’esigenza è così diffusa che le richieste stanno superando i confini locali: «Il passaparola sta arrivando ben oltre la nostra diocesi. Stiamo già valutando pazienti provenienti da altre diocesi umbre» aggiunge il direttore Caritas.

Una sanità che accoglie: il metodo clinico e umano

Il direttore sanitario dell’ambulatorio, Guido Lombardo, riassume il cuore del progetto: «Il nostro intervento è un intervento di pazienza, oltre che di competenza. I pazienti arrivano spesso con un grado di malattia orale molto importante, ma ciò che conta è che si sentano accolti e ascoltati». Lombardo insiste sulla presa in carico integrale: «Non risolviamo solo il piccolo problema: cerchiamo di restituire la bocca a una condizione di benessere. Vogliamo far passare il paziente da uno stato di malattia a uno stato di salute, anche psicologico».

Questo si traduce in un approccio orientato al recupero, non alla “bonifica totale”: «La politica delle estrazioni non è quella che abbiamo scelto» spiega. «Cerchiamo di recuperare tutto quello che è possibile recuperare, perché la bocca è un luogo di identità. Una persona già vive una mutilazione, non possiamo aggiungerne un’altra». Il lavoro è reso possibile da una squadra coesa: «Mi avvalgo di colleghi competenti e di uno staff infermieristico e amministrativo qualificato. Questo permette che la nostra esperienza vada avanti in maniera serena», aggiunge Lombardo.

Ma il feedback più forte arriva dai pazienti: «Capita che qualcuno dica: “Per la prima volta oggi ho iniziato a masticare con i miei denti”. Questa è la gratifica più grande: ridare sorriso e fiducia».

Una famiglia prima ancora che un ambulatorio

Tra le stanze dell’ambulatorio si respira un clima umano unico, dove le relazioni sono parte integrante del percorso di cura. «Questa è diventata una grande famiglia», racconta Elisabetta Nesci, assistente alla poltrona. «I pazienti si rivolgono a noi con molta umiltà e con una gioia enorme. Ti abbracciano, ti ringraziano mille volte, ti portano persino la cena. È un’esperienza che arricchisce umanamente». Maria Grazia Ceci, che cura la segreteria, aggiunge: «Non mi sarei mai aspettata di trovare persone che lavorano con tanto amore verso gli altri. È commovente, davvero commovente».

Uno sguardo al futuro

L’ambulatorio “Santa Margherita” – l’ultima opera segno della Caritas diocesana tifernate, in ordine di tempo – è oggi un presidio sanitario e sociale prezioso, capace di restituire dignità a chi per anni ha vissuto nel dolore o nella vergogna di non potersi curare. «Forse abbiamo imboccato la strada giusta», dice Zucchini. «L’importante è portare avanti questo progetto con dignità, cura e attenzione verso i più fragili». Le richieste aumentano, la rete si allarga, la comunità risponde. E ogni sorriso ritrovato non è solo il risultato di una cura, ma il segno di una rinascita possibile.

Sinodalità: al via il nuovo itinerario della Scuola diocesana di formazione teologica

Giovedì 20 novembre 2025, alle ore 21, nella sala Santo Stefano del Palazzo Vescovile di Città di Castello, prende ufficialmente il via il nuovo percorso 2025-2026 della Scuola diocesana di formazione teologica “Cesare Pagani – 1975”, giunta al suo 51° anno di attività. Un cammino che, anche quest’anno, vuole accompagnare la comunità diocesana nella crescita culturale, spirituale e civile, mettendo al centro il tema della sinodalità.

Un anno dedicato alla sinodalità

Il filo rosso dell’intero itinerario sarà l’educazione alla sinodalità, dimensione che negli ultimi anni è diventata un orizzonte fondamentale per la vita della Chiesa.

«Abbiamo parlato a lungo di sinodo e di sinodalità – spiega don Romano Piccinelli, direttore e coordinatore della Scuola – e ci rendiamo conto di aver tutti bisogno di essere educati secondo questa prospettiva di matrice profondamente ecclesiale».

L’obiettivo è offrire strumenti e spazi di riflessione che permettano ai partecipanti di comprendere e vivere la sinodalità come mentalità, stile e pratica ecclesiale.

Una teologia che ascolta il presente

Don Romano Piccinelli

Oltre al tema centrale, il nuovo anno di formazione guarderà ai grandi interrogativi del tempo presente: la vita civile e democratica, la responsabilità sociale, le sfide politiche e culturali, la ricerca religiosa e spirituale, il dialogo con il mondo contemporaneo.

«È la luce della fede che orienta la nostra intelligenza e la nostra ragione – aggiunge don Romano – ad approfondire i contenuti e le tematiche tenendo conto dello spirito del Vangelo, da vivere non solo teoricamente, ma nella pratica della vita delle persone e della società intera».

Un approccio che intreccia dimensione teologica e quotidianità, nella convinzione che la fede sappia offrire criteri per leggere il mondo e orientare le proprie scelte.

Struttura dell’itinerario: moduli, laboratori e tre eventi straordinari

Il percorso 2025-2026 si articolerà in tre moduli, ognuno composto da tre incontri e un laboratorio, a cui si aggiungeranno tre appuntamenti aperti al pubblico.

Tra i temi approfonditi: In ascolto del Vangelo di Matteo; Con premura ecclesiale; A contatto con la fragilità dell’esistenza, in occasione dell’ottavo centenario della morte di san Francesco.

Sono previsti anche tre focus tematici: L’imbarazzo e il coraggio della pace oggi (18 dicembre 2025); Sinodalità, democrazia e partecipazione (13 febbraio 2026); Intelligenza artificiale, nel rispetto della persona umana e per il bene comune (25 marzo 2026).

Gli incontri si svolgeranno ogni giovedì, da novembre a marzo, nella sala Santo Stefano del Palazzo Vescovile.

Una proposta per tutti

La Scuola diocesana “Cesare Pagani” conferma la propria vocazione inclusiva: non solo formazione per gli operatori pastorali, ma una vera e propria occasione di crescita per l’intero popolo di Dio – credenti e non credenti –, per chiunque desideri approfondire la dimensione spirituale, culturale e sociale del vivere umano.

«La teologia è un servizio alla vita, alla speranza e alla ricerca di senso che attraversa ogni persona», ricorda don Piccinelli.

Il cammino già iniziato: l’anteprima con Daniela Sala

Il nuovo itinerario è stato introdotto da un’anteprima lo scorso 24 ottobre, con la conferenza della prof.ssa Daniela Sala, caporedattrice del mensile Il Regno-Documenti, dedicata al tema: “Oggi e sempre Laudato si’. Per la pace: cura integrale dell’uomo e del creato”.

Un prologo che ha intrecciato spiritualità francescana, ecologia integrale ed educazione alla pace, illuminando la cornice culturale e pastorale del nuovo biennio.

Camminare insieme per pensare e discernere

L’itinerario nasce dalla collaborazione con gli Uffici pastorali della diocesi e diverse realtà culturali del territorio, tra cui Ospedale da Campo, l’altrapagina e il Movimento per la Vita.

«È un cammino che vuole aiutarci a pensare, a discernere e a camminare insieme», conclude don Romano.

Domani, dunque, non solo si apre un nuovo anno di formazione, ma prende forma un percorso comunitario di ascolto, dialogo e corresponsabilità, che invita ciascuno a mettersi in gioco per comprendere, alla luce del Vangelo, le sfide del nostro tempo.

Il depliant dell’itinerario formativo 2025-2026 della Scuola diocesana di teologia (1)

Il depliant dell’itinerario formativo 2025-2026 della Scuola diocesana di teologia (2)

La Chiesa diocesana tifernate unita attorno ai suoi patroni

La Diocesi tifernate ha celebrato ieri, giovedì 13 novembre, la solennità dei santi Florido e Amanzio, patroni principali della Chiesa locale. La celebrazione eucaristica delle ore 18, presieduta dal vescovo Luciano Paolucci Bedini, ha visto una cattedrale gremita, con una presenza ampia e sentita di fedeli, confraternite, associazioni ecclesiali e numerose autorità civili e militari. Tra queste, il sindaco di Città di Castello Luca Secondi, insieme ai sindaci e agli amministratori dei Comuni del territorio diocesano.

La Messa solenne, animata dalla Schola Cantorum “Anton Maria Abbatini”, ha rappresentato il culmine di un percorso iniziato domenica 9 novembre con le celebrazioni e l’offerta dei ceri da parte delle Confraternite, segno della continuità di una tradizione che affonda le radici nei secoli.

L’esempio luminoso dei patroni tifernati

Nella sua omelia (CLICCA QUI PER IL TESTO INTEGRALE), il vescovo Paolucci Bedini ha ricordato la figura dei due santi patroni, “pastori a immagine di Cristo buon pastore”, che dedicarono totalmente la loro vita alla Chiesa e alla comunità di Città di Castello.

San Florido, nato intorno al 520, fu testimone della distruzione della sua città durante la guerra gotica: da vescovo, non si limitò a restaurare ciò che era perduto, ma promosse la rinascita di un popolo, puntando sulle sue risorse, proteggendo i più fragili e impegnandosi in prima persona nella ricostruzione morale e materiale della comunità.

Accanto a lui operò Amanzio, sacerdote semplice e caritatevole, ricordato anche per carismi particolari e per i segni della sua fede. I due santi – insieme al laico Donnino – incarnano una santità “comunitaria”, fondata sulla fraternità e sul servizio, ancora oggi punto di riferimento per la Chiesa tifernate.

“Lasciamoci ferire dal loro senso di responsabilità”

Una parte significativa dell’omelia è stata dedicata al tema della responsabilità, tratto centrale della vita dei santi patroni. Il vescovo ha sottolineato come Florido e Amanzio non si siano mai tirati indietro di fronte alle difficoltà del loro tempo: “Non evitarono i rischi, non delusero le attese, non si rinchiusero nei recinti della loro missione spirituale”, ha affermato Paolucci Bedini, invitando la comunità a lasciarsi “ferire da questa loro alta testimonianza”.

 

La preoccupazione per i giovani

La parte più intensa dell’omelia ha riguardato la condizione dei giovani. Il vescovo Luciano ha dichiarato con franchezza: “Vi confido che sono molto preoccupato per i giovani. Per i giovani, non dei giovani”. Ciò che lo preoccupa non è l’età giovanile, “ricca di risorse e desideri profondi”, ma il fatto che i ragazzi di oggi non trovino adulti capaci di essere punti di riferimento, guide affidabili nel tempo della crescita.

“I nostri giovani, a chi guardano? Che esempio stiamo offrendo noi che dovremmo essere i protagonisti responsabili della storia che attraversiamo?”. Il vescovo ha quindi invocato un “sussulto di umanità e maturità”, per non lasciare alle nuove generazioni un mondo arreso alla violenza, ai poteri forti, al sospetto reciproco e alla misura del denaro.

La solennità dei santi Florido e Amanzio si conferma non solo una festa religiosa, ma anche un momento di identità e unità civile, capace di riunire la città attorno alle sue radici più profonde e alle sfide del presente.

15 e 16 novembre: musica, arte e spiritualità per proseguire la festa

Le celebrazioni proseguiranno nel fine settimana con due appuntamenti di grande rilievo culturale, ispirati al recente ritrovamento nell’Archivio capitolare di un prezioso manoscritto musicale del XVI secolo, il Lyber Hymnorum (ms. 2084), contenente tre inediti inni di Giovanni Pierluigi da Palestrina, tra cui l’“Inno Lauda Mater”, rimasto finora sconosciuto.

Sabato 15 novembre, alle ore 17, ci sarà la conferenza “Una Cappella musicale e la sua musica. Gli inediti di Palestrina e Abbatini”. Nel Salone gotico del Museo diocesano, interverranno: don Andrea Czortek, vicario generale e direttore dell’Archivio storico diocesano, il musicologo Galliano Ciliberti e il maestro Alessandro Bianconi, direttore della Schola Cantorum “Anton Maria Abbatini”. L’incontro approfondirà la storia della Cappella musicale della Cattedrale e il valore della scoperta dei nuovi brani.

Domenica 16 novembre, sempre alle ore 17, si terrà il concerto-evento “Lauda Mater”. Nella Cattedrale sarà eseguito in prima assoluta il Vespro per la Festa di santa Maria Maddalena, ricostruito dal maestro Alessandro Bianconi, con musiche inedite di Palestrina e Antonio Maria Abbatini. Protagonisti saranno: la Schola Cantorum “Anton Maria Abbatini”, il Libercantus Ensemble di Perugia, la Schola Gregoriana “Scriptoria” di Verona, accompagnati da un ensemble strumentale rinascimentale, per un totale di circa 70 esecutori.

Al Museo diocesano è visitabile la mostra “I codici musicali dell’Archivio capitolare”, con manoscritti e libri corali di Palestrina e Abbatini. Questi appuntamenti, promossi nell’ambito dell’Anno giubilare 2025, confermano la volontà della diocesi di valorizzare il dialogo tra fede, arte e memoria, rilanciando il patrimonio storico e spirituale della Chiesa tifernate.

 

 

Festa dei santi Florido e Amanzio: il vescovo Luciano preoccupato per i giovani

La Chiesa tifernate – il 13 novembre 2025 – si è ritrovata nella chiesa Cattedrale dei Santi Florido e Amanzio per la celebrazione solenne in occasione della memoria liturgica proprio dei patroni principali della diocesi di Città di Castello.

L’omelia del vescovo Luciano Paolucci Bedini

«E quando apparirà il Pastore supremo, riceverete la corona della gloria che non appassisce». È l’apostolo Pietro ad indirizzare questa promessa a tutti i pastori che hanno servito la Chiesa di Cristo fedelmente. Ed è proprio questa gloria eterna che hanno ricevuto i nostri santi patroni Florido e Amanzio a coronamento della loro vita e del loro ministero spesi totalmente per questa nostra santa Chiesa tifernate. Nella loro santità, che oggi solennemente celebriamo, risplende per tutti noi la grazia e la misericordia che Dio Padre ha elargito nei secoli a questa comunità cristiana. La loro corona di gloria è anche la nostra, e in noi riverbera nel tempo che viviamo, se rimaniamo umilmente in ascolto del loro insegnamento, e fedeli alla loro guida.

In questa gioia grande, che ci riporta alle radici della storia di questo nostro popolo, saluto con cordiale gratitudine le autorità civili e militari presenti e partecipi con noi nella cornice di questa magnifica chiesa Cattedrale. La vostra condivisione di questo santo giorno ci incoraggia a sentirci parte attiva e cittadini partecipi della vita sociale di questo territorio benedetto, di cui tutti e insieme siamo responsabili.

Al centro dell’annuncio di questa solenne memoria c’è l’immagine evangelica del buon pastore. Se il profeta Ezechiele ci narra tutta la passione paterna di Dio che, come pastore solerte, custodisce il gregge dell’umanità, se ne prende cura preoccupandosi di tutte le sue esigenze e difendendolo dai tanti pericoli in agguato, il Vangelo di Giovanni ci rivela che tutto ciò Dio lo ha compiuto inviando per noi suo Figlio Gesù perché donando la sua vita diventasse il nostro unico e fedele buon pastore. «Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore».

Il vescovo Florido e il presbitero Amanzio sentirono forte per loro questa chiamata ad essere pastori per questa Chiesa ad immagine di Cristo buon pastore. Si presero cura del gregge loro affidato e, con animo generoso e coraggio esemplare, si immersero nelle vicende del loro tempo mettendo tutta la loro vita a servizio della Città e del popolo dei fedeli. Le parole del profeta disegnano luminosamente i sentimenti e le azioni scaturite dal loro cuore pastorale: «Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare. Andrò in cerca della pecora perduta e ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia».

Nessuno di noi può sostituire l’unico vero buon pastore che è Cristo, e tutti abbiamo necessario bisogno di questa sua guida per poter vivere appieno il nostro pellegrinaggio terreno e giungere alla meta della nostra salvezza nella comunione eterna con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Per questo ogni fratello che è chiamato nella comunità a rivestire il ministero pastorale può fedelmente corrispondervi solo a patto che sia docile alla parola e al mandato di Gesù risorto. Così da non costituire un altro riferimento nella Chiesa, ma bensì per interpretare nell’oggi lo sguardo misericordioso del Salvatore e lasciar trasparire nei propri gesti l’azione redentrice del Cristo, rimandando continuamente a lui, unica sorgente inesauribile della grazia.

È questo l’orizzonte di fedele servizio alla Chiesa, in obbedienza all’annuncio del Regno di Dio, verso il quale i nostri santi patroni hanno guidato questa Chiesa e questa Città. Vedendo la distruzione che aveva devastato la comunità a causa della stolta violenza dell’uomo contro il suo fratello, risposero con coraggio e fiducia alla necessità di ricostruire e ridare vita a ciò che sembrava perduto. Pensando alle pietre e alle case di fatto si presero cura della rinascita di un popolo. Non pensarono a restaurare le cose perché tutto tornasse come prima, ma pensarono e progettarono una città nuova, migliore, che potesse accogliere una vita rinnovata, diversa e migliore di quella che avevano conosciuto. Puntarono sulle risorse di chi aveva più forza, custodirono i fragili e i deboli che andavano protetti, si coinvolsero personalmente con tenacia e fiducia impegnando prima di tutto la loro responsabilità.

Proprio di questa loro autorevole responsabilità, nei confronti della comunità loro affidata, noi oggi possiamo e dobbiamo stupirci. Uomini adulti, insigniti di un alto ufficio, pubblici rappresentanti della vita di un popolo e testimoni consapevoli del progetto di amore e di misericordia di Dio per tutti gli uomini, non si tirarono indietro, non evitarono i rischi possibili, non delusero le attese di chi guardava alla loro guida con fiducia, non si rinchiusero nei recinti della loro missione spirituale, non si nascosero dietro i pensieri negativi e i luoghi comuni, non additarono le responsabilità altrui per evitare di sporcarsi le mani, non si fermarono all’analisi delle cause che avevano generato i mali del loro tempo, non lasciarono soli quelli che da soli non ce l’avrebbero fatta invocando la mancanza di strutture o la scarsità di risorse.

Lasciamoci ferire da questa loro alta testimonianza. Non può non colpirci il loro profondo senso di responsabilità nei confronti degli altri. Oggi, in un mondo come il nostro, dove la responsabilità non va più di moda, dove si tende a screditare ogni autorità, ma anche dove tanti livelli di autorità non rispondono più ai loro doveri. Quanto sono forti le parole dell’apostolo Pietro agli anziani responsabili delle loro comunità, e le prendo prima di tutto per me: «…pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non perché costretti ma volentieri, come piace a Dio, non per vergognoso interesse, ma con animo generoso, non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge».

Vi confido che sono molto preoccupato per i giovani. Per i giovani, non dei giovani. Non mi preoccupa l’età giovanile con tutto quello che comporta, anzi, in essa vi sono le risorse più potenti della vita e i desideri più profondi che anelano alla bellezza dell’esistenza. Mi preoccupa che, in questi anni di esplosione della vita, i nostri giovani non trovino in noi adulti esempi luminosi di responsabilità e di passione per la vita. Sì, a me sembra che il problema più grave della nostra gioventù sia questo. Ciascuno di noi è diventato grande accompagnato da qualcuno che ci ha preso per mano e ci ha dato l’esempio di una vita buona. I nostri giovani a chi guardano? Quale triste spettacolo sta dando il nostro mondo a chi entra nella vita? Che esempio stiamo offrendo loro noi che oggi dovremmo essere i protagonisti responsabili della storia che attraversiamo?

Abbiamo bisogno di un sussulto di umanità e di maturità. Non possiamo lasciare ai nostri figli un mondo che si è arreso ai poteri forti, al dominio della violenza, al sospetto e alla diffidenza reciproca, alla misura del denaro, alla schiavitù del possesso. Una vita sociale che teme la fraternità, ha dimenticato la gratuità e ha burocratizzato la solidarietà. L’esempio grande dei santi Florido e Amanzio è per noi, riguarda noi e ci provoca profondamente. Alla loro potente intercessione affidiamo il risveglio della nostra testimonianza responsabile. Amen.

+Luciano, vescovo

Il video della celebrazione solenne

Santi Florido e Amanzio, 13 novembre: la Chiesa tifernate celebra i suoi patroni

La Diocesi di Città di Castello si prepara a vivere, giovedì 13 novembre, la solennità dei santi patroni Florido, vescovo, e Amanzio, sacerdote. La celebrazione culminerà con la Solenne Eucaristia delle ore 18 nella Basilica Cattedrale, presieduta da mons. Luciano Paolucci Bedini, vescovo di Città di Castello, e animata dalla Schola Cantorum “Anton Maria Abbatini”.

Le celebrazioni liturgiche hanno avuto inizio già domenica 9 novembre, con le Sante Messe della mattina e la Messa vespertina con l’offerta dei ceri da parte delle Confraternite della diocesi, segno di devozione e di continuità della fede popolare tifernate.

Le radici della fede tifernate

Ogni anno la città rinnova la memoria di san Florido e sant’Amanzio, figure che hanno segnato profondamente la storia e l’identità spirituale di Città di Castello. San Florido nacque proprio in questa terra intorno al 520. Rimasto orfano in giovane età, si dedicò con impegno agli studi di lettere e teologia, distinguendosi per la sua pietà e il suo desiderio di servire la Chiesa. Ordinato diacono nel 542, visse un periodo difficile segnato dalle guerre gotiche: insieme ai suoi compagni Amanzio e Donnino fuggì a Perugia, dove ricevette l’ordinazione sacerdotale dal vescovo Ercolano.

Miracoli e testimonianza di fede

Durante un viaggio a Todi, Florido e Amanzio si imbatterono in un indemoniato, che fu guarito per intercessione del futuro vescovo: un segno della potenza della fede e della preghiera, capace di liberare e restituire speranza. Dopo la morte di Ercolano, Florido tornò nella sua città natale, trovandola distrutta dall’assedio di Totila.

Fu allora che emerse la sua forza spirituale e pastorale: nominato vescovo da papa Pelagio, Florido divenne guida della comunità, promuovendo non solo la ricostruzione materiale della città, ma soprattutto la rinascita morale e religiosa del popolo tifernate.

Un cammino condiviso: Florido, Amanzio e Donnino

Accanto al vescovo Florido operarono Amanzio, sacerdote umile e animato da profonda carità, e Donnino, laico ed eremita. Insieme testimoniarono una santità “comunitaria”, fatta di fraternità e servizio reciproco. Il loro esempio dimostra come la santità possa essere un’esperienza condivisa: una Chiesa viva nasce dove le persone si aiutano come fratelli, fondando la loro vita sulla certezza dell’amore di Dio.

La memoria nei secoli

I “Dialoghi” di san Gregorio Magno ci restituiscono un ritratto vivo dei due santi: Florido come «vescovo di vita venerabile», e Amanzio come «uomo di grande semplicità», dotato di carismi straordinari, capace di guarire i malati e di scacciare i serpenti con il segno della croce. Il culto dei santi Florido e Amanzio è attestato fin dall’XI secolo e si lega alla dedicazione della Cattedrale cittadina ai due patroni, segno di una devozione che non si è mai spenta e che continua a essere il cuore della spiritualità tifernate.

Una festa di fede e di comunità

La solennità del 13 novembre non è soltanto un’occasione di festa religiosa, ma anche un invito a riscoprire la forza spirituale che, fin dalle origini, ha animato la Chiesa di Città di Castello: una comunità capace di rinascere, costruire e sperare insieme, seguendo l’esempio luminoso dei suoi santi patroni, Florido e Amanzio.

La celebrazione solenne delle ore 18 in Cattedrale sarà trasmessa in diretta sui social media diocesani (Facebook @diocesicastello e Youtube @diocesicittadicastello) e su Trg al canale 13.

 

Città di Castello riscopre Titi, il tifernate che inventò la guida moderna di Roma

Pochi sanno che la prima vera guida “moderna” di Roma, quella che accompagnò i pellegrini del Giubileo del 1675 tra le chiese e le opere d’arte della città eterna, porta la firma di un abate tifernate. Si chiamava Filippo Titi, e la sua Studio di pittura, scoltura et architettura nelle chiese di Roma – pubblicata nel 1674 – è considerata dagli studiosi un testo fondativo della critica d’arte moderna. A lui è stato dedicato l’incontro “Antica guida d’arte per il Giubileo del 1675”, ospitato sabato 8 novembre nel Salone gotico del Museo diocesano di Città di Castello, che ha richiamato un pubblico numeroso e attento.

L’omaggio a un tifernate illustre

A introdurre la mattinata è stato don Andrea Czortek, vicario generale e direttore dell’Archivio diocesano, che ha sottolineato come l’occasione permetta di “conoscere una figura particolarmente importante e al tempo stesso poco conosciuta della nostra storia culturale”, riportando indietro di 350 anni il filo della memoria cittadina.

Il vescovo Luciano Paolucci Bedini ha ricordato il valore di incontri come questo “perché ci aiutano a comprendere meglio una parte della nostra storia” e ha invitato a “trarre ispirazione da queste figure per ciò che viviamo oggi, riconoscendo ciò che resta della loro opera e del loro ingegno”.

Il sindaco Luca Secondi ha scherzato sul fatto che “molti tifernati, quando sentono il nome Titi, pensano solo a una via di Riosecco”, sottolineando quanto sia importante “riscoprire il lavoro e l’impegno di questo concittadino illustre”, di cui si conservano preziosi documenti nella Biblioteca comunale. “Abbiamo voluto inserire la sua immagine anche negli oggetti di rappresentanza della città – ha aggiunto – proprio per esprimere la nostra identità attraverso figure significative della nostra storia”.

Lo sguardo dello storico dell’arte

Nel cuore dell’incontro gli interventi dei relatori, Carmelo Occhipinti, storico dell’arte e ordinario all’Università di Roma Tor Vergata, e Giovanni Cangi, ingegnere ed esperto di edilizia storica. 

Occhipinti ha messo in luce “l’enorme importanza del testo del Titi”, una guida “non solo per pellegrini ma per studiosi e amatori dell’arte”, che seppe “rivalutare il Medioevo e il Rinascimento, da Cavallini a Giotto, fino a Pietro da Cortona, in contrasto con la visione classicista di Bellori”. L’abate tifernate, ha ricordato lo studioso, “ebbe un’apertura straordinaria, anticipando una visione storica dell’arte che solo secoli dopo sarebbe diventata metodo critico”.

Il “regalo” che fece alla sua città

Cangi, dal canto suo, ha offerto il ritratto del Titi cartografo e disegnatore, autore delle prime mappe della città di Castello “così come era uscita dal Medioevo e dal Rinascimento”. Ma lo ha anche definito “un anticipatore del turismo culturale”, grazie a una guida “tascabile e descrittiva”, con l’elenco di oltre 275 chiese e 3.000 opere d’arte, concepita proprio in vista del grande flusso di visitatori del Giubileo del 1675. 

“Fu un successo editoriale clamoroso – ha ricordato – tanto che a Macerata ne uscì subito una ristampa non autorizzata, una sorta di copia pirata ante litteram”. Quando, dieci anni più tardi, Titi pubblicò la nuova edizione ampliata, volle aggiungere un omaggio alla sua terra: la descrizione del Duomo di Città di Castello, inserendolo accanto alle grandi chiese romane. “È un regalo che fa alla città – ha commentato Cangi – un segno del suo legame con le origini e con la comunità tifernate”.

Un pioniere della divulgazione artistica

Un incontro, dunque, che ha restituito a Filippo Titi il posto che gli spetta nella storia dell’arte e nella memoria cittadina: non solo abate e cartografo, ma pioniere della divulgazione artistica, capace di unire fede, conoscenza e spirito di servizio in un’opera che continua a parlare anche dopo tre secoli e mezzo.